quinta-feira, 17 de junho de 2010

Colore del cibo e classi sociali

Le radici dei regimi alimentari tradizionali rivelano come i prodotti più importanti dal punto di vista nutritivo e gustativo, fossero quelli delle feste e delle occasioni eccezionali, accessibili soprattutto ai ricchi e raramente ai ceti popolari.

Questi cibi erano prevalentemente di colore bianco o rosso, o di sfumature che gli si avvicinavano. La valutazione dietetica positiva di questi alimenti appariva ancora più evidente quando nei pasti si combinavano assieme i due generi.

I cibi maggiormente evocati nella tradizione orale per identificare l’abbondanza erano il bianco della pasta o del pane accompagnato dal rosso del vino e delle carni vaccine o suine.
Questi erano i colori delle persone ben nutrite e in buona salute, ed anche i proverbi ricordavano che la bellezza femminile dipendeva da essi.

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che certi colori avevano una connotazione positiva forse perché rappresentavano elementi come sole, luce e acqua, indispensabili fin dalle origini all’agricoltura delle civiltà mediterranee.

Fu anche per queste valenze se dal Settecento, alimenti come pomodoro e peperoncino si diffusero sulle tavole italiane.

In ogni caso nella comunità agreste non si rifiutavano i cibi di colore verde, se mai c’era un’opposizione al loro consumo, perché identificavano la monotonia cromatica del pasto quotidiano fatto di verdure e erbe.

Più decisa appare invece la diffidenza verso gli alimenti di colore nero, tono associato alla morte, al lutto, al colore della fame.

I pani integrali scuri, nonostante il loro valore dietetico, trovavano scarsa fortuna, come l’olio nero o scuro ottenuto da olive male conservate e prodotto con procedimenti arcaici. Eccezione a questa abitudine era il caffè, presente almeno all’inizio solo sulle tavole dei ricchi, che rappresentava una delle bevande più desiderate dai ceti popolari.

Fonte: Rivista TaccuiniStorici.it

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