segunda-feira, 20 de setembro de 2010

La pasta e i siciliani

Le prime tracce della pasta emergono sotto forma di strumenti per la fabbricazione e la cottura, in una tomba etrusca. Già nei primi anni dopo Cristo il cuoco Apicio parla nel suo libro di cucina di qualcosa di simile alle lasagne e intorno all'anno Mille abbiamo la prima ricetta documentata di pasta, nel libro "De arte Coquinaria per vermicelli e maccaroni siciliani", scritto da Martino Corno, cuoco del potente Patriarca di Aquileia.

Di certo la pasta era ben conosciuta nei paesi arabi, dove ancora oggi si parla di "makkaroni".
Dai paesi arabi arrivò in Grecia e in Sicilia (allora colonia araba). Difatti Palermo è storicamente la prima vera capitale della pasta, perché qui si hanno le prime testimonianze storiche di produzione di pasta secca a livello artigianale-industriale.

Nel 1150 il geografo arabo Al-Idrisi riferisce che a Trabia, a 30 km da Palermo, "si fabbrica tanta pasta in forma di fili, ["tria" in arabo], che viene esportata in tutte le parti, nella Calabria e in tanti paesi musulmani e cristiani anche via navi".

La pasta rappresenta da tempo un ideale punto di incontro tra fame e scarse risorse economiche familiari. Lontani dal desiderio peccaminoso di cibi costosi, la povera gente si rifocillava con un bel piatto di pasta, in bianco, col cacio o con altri elementi (per chi se lo poteva permettere) che arricchivano il principale e a volte unico pasto della giornata. Il rapporto tra i siciliani e la pasta è così stretto che è difficile decidere da dove cominciare a narrare di questo incommensurabile amore.

Allora partiamo dall’unità di misura e dalle scorte.

“L’unità di misura era il «lemmo», una sorta di zuppiera svasata il cui sottomultiplo era «u limmicieddru» che era comunque più grande di un piatto «cupputo».

Quanta e quale pasta tenere in casa? Certamente diversi chili perché, a prescindere dalla centralità di questo alimento nella dieta dei siciliani, è sempre una risorsa visto che «tanto a calare due fili di pasta non ci vuole niente».

Nella dispensa di una brava femmina di casa era sempre possibile trovare : spaghetti, bucatini e bucato grosso ( il «maccheroncino») nello scaffale della pasta lunga. Poi cavatoni, penne e ditali in quello della pasta corta. E infine «piccolissimi» per le minestre (quando non si usa lo spaghetto spezzato).

Normalmente tutta la pasta che si rompeva non veniva gettata via, ma era utilizzata per ottime minestre di legumi, famosissima è rimasta quella di S. Giuseppe, offerta ai poveri tutt’oggi nel giorno in cui si festeggia il santo patrono dei falegnami.

A Palermo tanti anni fa c’era il mulino Virga in corso dei Mille, dal quale uscivano grossi carri «strascini» pieni di balle di ogni tipo di pasta diretti verso i punti vendita chiamati «pastari».
Venduta «sfusa», a peso e contenuta in grandi cassetti, simboleggiava (per chi ne aveva una buona quantità) ricchezza. La merce veniva avvolta in grandi fogli di carta grossa di colore blu «avion» che in casa veniva conservata perché era ottima per foderare gli stipetti della cucina o il fondo degli armadi.

lo spaghetto era il tipo più usato in casa. La lunghezza era di mezzo metro, anzi il doppio, solo che erano ripiegati a U perchè al pastificio venivano messi ad essiccare sulle canne. Lo spaghetto veniva spezzato a metà perché altrimenti era scomodo da mangiare. Gli spaghetti spezzati per la pasta coi tenerumi o con le lenticchie o coi fagioli, venivano rotti dai bambini che attuavano alla pasta una prima «rottura». Poi con la mappina chiusa a fagotto si ottenevano pezzetti più piccoli.
I diversi formati di pasta erano poi obbligatoriamente usati per specifici condimenti.

Spaghetti: con la salsa di pomodoro anche nella variante con melenzane fritte e ricotta salata; con le vongole; in bianco con olio e parmigiano; con l’aglio e l’olio; alla carrettiera; con il sugo e la carne capoliata; con la «glass»
Margherita (una lasagna stretta arricciata dai due lati): pasta con l’anciova e la mollica atturrata
Maccheroncino: di assoluto rigore nella pasta coi broccoli arriminati e nella pasta con le sarde Cavatoni: con i sughi di carne ma anche con la salsa e le melenzane ma «a sformato», magari destinato a una «incasciata» nel forno o destinato all’asporto nei «camillini» (in spiaggia, per esempio).

Spaghetto spezzato: con tenerumi, zucchina lunga, fave, fiori di zucca, brodo di carne
Anelletti: Monouso, pasta «col forno». Discutibile alternativa: bucatini o, addirittura, penne lisce o rigate.

Lasagne. Non quelle tradizionali di forma quadrata. È un tipo di pasta lunga, utilizzata nella ricetta delle «lasagne cacate», un nome non bello per un eccellente piatto: sugo di carne di maiale stracotta (con cotenne) con l’aggiunta di ricotta fresca e parmigiano.

La pasta rappresenta da sempre elemento irrinunciabile , non a caso il contadino in campagna. (se la loro abitazione non era molto distante) incaricava le figlie piccole di portargli la pasta in un contenitore coperto da un piatto e avvolto nella mappina.

Ormai la pasta si mangia dappertutto,ma la sicurezza del suo futuro e abbondante consumo è legato alla voglia dei siciliani che restano sempre fedeli alla tradizione e alla bontà del grano mediterraneo.

di Mariano Carbonetti
Fonte: Rete Sicilia

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